“Mi va stretto lo stivale”: il ritorno alla satira di Walter Di Gemma
Domenica 16 marzo alle ore 16 al Cineteatro La Creta di Milano debutta il nuovo spettacolo dell’artista milanese Walter Di Gemma, storico e noto cabarettista milanese, autore, cantante e presentatore televisivo, torna in scena con uno spettacolo

Domenica 16 marzo alle ore 16 al Cineteatro La Creta di Milano
debutta il nuovo spettacolo dell’artista milanese
Walter Di Gemma, storico e noto cabarettista milanese, autore, cantante e presentatore televisivo, torna in scena con uno spettacolo di satira pura e in grande stile. Udite Udite ha intervistato l’artista durante le prove prima dell’imminente debutto di domenica.
Mi va stretto lo stivale è il titolo del tuo nuovo spettacolo che debutta domenica. Come è nato questo show e cosa te l’ha ispirato in particolare?
«È un’idea che avevo in mente da tempo e che ho sentito istintivamente il bisogno di realizzare proprio ora, ispirato dalla delicata situazione che stiamo vivendo a livello mondiale. Un’esigenza di ripercorrere e rivedere, attraverso monologhi e canzoni, l’atteggiamento umano, che oggi mi sembra in crisi più che mai».
Sottotitolo: “Un ritorno alla satira travolgente”. Cosa rappresenta per te questo ritorno al cabaret dopo tanti spettacoli musicali e come lo vivi a pochi giorni dal debutto?
«In qualche modo, il cabaret è sempre stato presente nei miei spettacoli, non l’ho mai abbandonato del tutto, seppur inserito in un contesto profondamente milanese. È vero, però, che con questo spettacolo, interamente in lingua italiana, sono tornato alle origini, ispirandomi a quel cabaret che più ho seguito, amato e imparato dai nostri grandi predecessori. Lo trovo uno spettacolo travolgente proprio per questo: non si tratta di politica condita da battute – una formula oggi molto usata per dare un indirizzo di parte – ma un cabaret in cui la satira non è influenzata da simpatie politiche, strumentali o personali».

Walter Di Gemma in scena, Milano 2022 ©Violetta Serreli
Verità scomode tra una risata e l’altra ma sempre con eleganza e raffinatezza. Una lezione ereditata dalla sempre presente tradizione gaberiana. Questo genere di umorismo, oltre a essere tua cifra stilistica, vuole essere anche un modo per distinguersi e prendere le distanze da questi tempi in cui la satira stessa sfocia spesso a sua volta nella volgarità?
«Sì, esattamente. La differenza sta proprio in questa formula: non legata a interessi di fazione, ma libera. E anche una parolaccia, quando presente, è sempre giustificata dal contesto e funzionale al discorso. Diventa un rafforzativo del contenuto, mai un espediente facile per strappare una risata».
Cosa ti va proprio stretto di questo nostro stivale e di questi tempi?
«Direi…tutto. Oggi siamo ridotti a semplici “numeri”, controllati e manipolati. Il concetto di libertà diventa sempre più sfumato. Viviamo in un sistema ipocrita, ben controllato e oliato, che avvantaggia chi sta in alto e non certo le persone oneste che – diciamolo pure – sono in preoccupante diminuzione».

Walter Di Gemma in scena, Milano 2022 ©Violetta Serreli
Mi ha colpito questa tua recente considerazione, purtroppo vera: “Il nostro è un Paese che conosciamo fin troppo bene, forse al punto da non sorprenderci più”. Ci si ride sopra per esorcizzare ma quanto sta pesando, forse per un eccesso di politically correct, la mancanza di autentica indignazione e la conseguente rassegnazione rispetto a situazioni che oramai abbiamo tristemente normalizzato?
«Credo che il sistema e il politically correct abbiano ormai vinto, spingendosi ben oltre la nostra rassegnazione, come se tutto facesse parte di un disegno ben preciso. Lo dico perché percepisco, in ogni discorso che sento dalla gente o che leggo, la smania di appartenere il più possibile a questo sistema, di abbracciarlo in ogni sua decisione, quasi fosse l’unica strada possibile, la nostra salvezza. È una sorta di alienazione collettiva».
Hai dichiarato: “Siamo parte di una società che corre, ma non si sa bene verso dove. Le città brulicano di vita, eppure c’è un senso di vuoto, un silenzio che si insinua tra i clacson, gli schermi sempre accesi, le vetrine scintillanti. Ci troviamo in un limbo, in cui ogni meccanismo funziona senza intoppi: c’è chi decide, spesso guidato da mani invisibili, e chi si lascia trasportare, oscillando tra indignazione e rassegnazione”. Questo inno al progresso tecnologico e all’(apparente) indipendenza ed emancipazione in ogni sua forma, tipico di questi anni, è veramente la strada per la felicità?
«No, direi piuttosto che è l’unica strada a cui ci siamo abituati. Viviamo in un limbo tecnologico a cui ci affidiamo quotidianamente, al punto da essere perennemente connessi. La tecnologia è diventata un prolungamento di noi stessi. I rapporti umani, invece, sono sempre più mediati e il dialogo si fa difficile, soprattutto per le nuove generazioni, che faticano più a socializzare – paradossalmente – proprio nell’era dei social. Molti fingono un’allegria disperata, simulano emozioni che non sanno più sentire, fuggono dai luoghi e dalle responsabilità, viaggiano continuamente, pur di non restare soli con sé stessi e non essere costretti a pensare. Di fronte a tutto questo forse l’antidoto è proprio riderci sopra, nella speranza di un risveglio autentico e positivo del pensiero».

Walter Di Gemma in scena, Milano 2022 ©Violetta Serreli
“Forse è ora di cambiare rotta. O almeno di iniziare a chiederci dove stiamo andando”. Dove stiamo andando secondo te Walter, presupposto fondamentale per decidere in caso di cambiare rotta?
«In tutta sincerità credo che stiamo andando verso la fine dell’umano. Per riconquistarlo, bisognerebbe tornare all’“io” autentico, senza lasciarsi travolgere da mediazioni tecnologiche o intelligenze artificiali a tutti i costi. La tecnologia deve restare uno strumento utile, da usare con buon senso, senza che ci sostituisca completamente. Pensare il contrario sarebbe un’offesa alle immense capacità dell’essere umano».
Se lo stivale è stretto meglio cambiarlo. O comunque provarci. L’altra alternativa sarebbe abbandonarlo. Ma fuor di metafora, onestamente, lasceresti mai l’Italia?
«Ci sto pensando ma sono troppo legato alla mia città per lasciarla. Chissà, forse un giorno, se davvero non la riconoscerò più…»
Luca Cecchelli
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