Saggi, racconti, interviste, anche un’autobiografia, per comprendere la settima arte. Perché, per capire un film, non basta guardarlo
Leggere un Libro per imparare a guardare un film può sembrare un controsenso. Non si soddisfa la fame leggendo libri di ricette e allo stesso modo il piacere della visione passa attraverso lo schermo (grande o piccolo che sia) e non dalla pagina scritta. A volte però qualche scrittore può aiutare a compiere il percorso che va dall’occhio alla mente, dalla visione alla comprensione e all’interpretazione (non capire è un po’ come essere ciechi).
Così le librerie di chi ama il cinema si riempiono di dvd o blu-ray, ma anche di libri. E non solo di quelli illustrati. Ecco allora sette volumi imprescindibili, tre per capire, tre per imparare e uno per ricordare.
L’America e il Cinema di Michael Wood
Il titolo originale (America in the Movies) spiega meglio l’approccio e l’importanza del libro:
una guida attraverso i generi più popolari della Hollywood classica per cercare di capire come un Paese si sia rispecchiato dentro i suoi film. E, naturalmente, come i film abbiano finito
per sintetizzare e rappresentare alcune delle caratteristiche del Paese. Non un libro di sociologia, però, ma l’opera di un cinefilo colto e curioso (Michael Wood è un accademico di origini inglesi che ha insegnato letteratura a Princeton e alla Columbia University) che rilegge come Rita Hayworth si sfila un guanto in Gilda o Fred Astaire fa scivolare le claquettes in Cappello a cilindro per farci capire come l’America abbia esorcizzato e insieme esaltato il mito della bellezza femminile o dell’eleganza maschile. Per poi proseguire con i melodrammi e film di fantascienza, i western o i gialli, lungo un percorso dove i compagni di avventure si chiamano Humphrey Bogart e Marilyn Monroe, James Stewart e Ava Gardner, Gary Cooper e Veronica Lake.
Nei sogni cominciano le responsabilità di Delmore Schwartz
È un racconto, non un saggio, ma per entrare nel mistero del cinema (e del modo in cui interagisce con lo spettatore) vale più di mille dotti articoli. Molti scrittori si sono confrontati con il fascino della settima arte, da Truman Capote a Mario Soldati, da Joyce Carol Oates a Manuel Puig, ma nessuno con l’intensità e la genialità di Delmore Schwartz. Solo poche pagine, dove il protagonista va al cinema e quello che vede sullo schermo si intreccia ai ricordi della sua vita: i personaggi diventano i suoi genitori che parlano, discutono, litigano, riaccendendo memorie e passioni. Ogni tanto una signora che gli siede a fianco lo riporta alla realtà. «Via, via, giovanotto, è solo un film. Solo un film», ma per lui è impossibile resistere a quello che passa sullo schermo e in cui si è completamente identificato: «Mi sento come se camminassi su una fune tesa a decine di metri sopra le teste degli spettatori». Ci vuole l’intervento di una maschera per riportarlo a terra: «E lei? Cosa fa lei? […] Non può comportarsi così, non potrebbe neppure se in sala non ci fosse nessuno!». Ma ormai l’identificazione è scattata e come dice il titolo più geniale della letteratura (cinematogra fica e non), il giovane impara che i sogni sono molto più di semplici sogni.
Che cos’è il Cinema di André Bazin
Una raccolta di saggi di uno dei più celebri critici del mondo, fondatore dei Cahiers du Cinéma e padre riconosciuto della generazione di registi della Nouvelle Vague. Con un linguaggio piano ed effi cace, l’autore (morto nel 1958 a soli quarant’anni) affronta i grandi temi che attraversano la storia del cinema, dal montaggio al piano sequenza, dal rapporto col teatro al ruolo del realismo. Analizzando il cinema di propaganda politica o il mito del western, i capolavori del Neorealismo o quelli di Chaplin, Bazin accompagna il lettore a riconoscere l’importanza di tutti i tipi di film, dal documentario a quello a 16mm, dalle opere etnografiche a quelle per ragazzi, inseguendo un’idea di cinema che sappia essere orgogliosa delle proprie specificità, no a diventare una «categoria dello spirito» (spiritualismo e idealismo facevano parte dei bagagli culturali di Bazin) e trasformarsi così nel «Gran Teatro del Mondo», quello che aggiungendo il movimento alla fotografia è stato capace di catturare l’anima della realtà.
Storia del Cinema. Un’introduzione di David Bordwell e Kristin Thompson
Delle tante storie del cinema, questa mi sembra quella che meglio sia capace di tenersi in equilibrio tra l’evoluzione storica della materia e la riflessione teorica sui grandi temi che l’hanno attraversata. Oltre a disporre di un ricchissimo apparato iconografico, che per un’opera sul cinema non è certo qualità secondaria. Circa 600 pagine possono sembrare poche per ripercorrere più di cento anni di storia, ma i due autori (già insegnanti all’Università Wisconsin- Madison e autori di altre opere sull’argomento, come l’altrettanto importante Cinema come Arte) sanno guidare l’attenzione dello spettatore verso gli snodi fondamentali della storia del cinema, approfondendo opere e carriere, ma soprattutto spiegando l’evoluzione del linguaggio cinematografico e di conseguenza le sue qualità estetiche.
L’avventurosa Storia del Cinema Italiano di Franca Faldini e Goffredo Fo
Un’opera unica – introvabile la prima edizione pubblicata da Feltrinelli, sono stati finora ristampati due volumi rivisti e ampliati, che partono dall’introduzione del sonoro, con La
canzone dell’amore, e arrivano al 1960, a La grande guerra – che ripercorre la storia del cinema italiano attraverso le parole di chi ha contribuito a farlo. Un lavoro certosino, fatto
di interviste originali e dichiarazioni che i due autori (la giornalista, a lungo compagna di Totò, e uno dei critici più autorevoli) hanno selezionato e montato con la perizia del romanziere e l’attenzione dello storico. Ne sono usciti due libri (ma un terzo è annunciato) che offrono la parola non solo a registi e attori, ma anche a sceneggiatori, direttori della fotografia, segretarie di edizione, produttori e montatori, che del cinema di casa nostra rivelano storie nascoste o segrete, compresi gli amori e le rivalità che spesso l’hanno attraversato.
Il Cinema secondo Hitchcock di François Truffaut
La madre di tutte le interviste cinematografiche, il libro che ogni spettatore dovrebbe leggere (e rileggere) per capire tutto quello che un fi lm può nascondere dentro di sé, di idee, di fatiche, di ambizioni, di riuscite. Critico prima di diventare regista, Truffaut aveva visto nel «mago del brivido» il rappresentante ideale di quell’idea di «autore» che i Cahiers du Cinéma avevano difeso a spada tratta. E nel 1962 l’aveva intervistato per una settimana (c’è anche un documentario di Kent Jones, Hitchcock/Truffaut, che ricostruisce quell’incontro, disponibile in Dvd). Il libro che ne è uscito è un prontuario sull’arte della regia, sui trucchi e le trovate che sono all’origine dei suoi tanti capolavori, sulle idee che Hitchcock era capace di far passare attraverso le imposizioni dei produttori che da lui volevano solo film che attirassero il pubblico. Dopo Truffaut sono stati molti i critici che hanno conversato con i loro registi del cuore (ricordiamo almeno Bogdanovich con Welles, Michel Ciment con Losey, Cameron Crowe con Billy Wilder) ma lui è stato il primo. E dal suo libro non si può prescindere.
Dei miei sospiri estremi di Luis Buñuel
Non sono rare le autobiografie di chi fa cinema. Per le attrici hollywoodiane è quasi un obbligo professionale, per chiudere in bellezza la carriera. Per i registi è occasione meno diffusa, ma per questo forse più interessante: raccontare la vita può diventare spunto per riflettere sulla propria opera. Dopo aver a lungo pensato, ho preferito l’autobiografia di Buñuel a quella, altrettanto interessante, di Ingmar Bergman (Lanterna magica) perché il regista spagnolo mi è più simpatico di quello svedese e nel suo libro si racconta con maggior ironia e minor sussiego. Ma soprattutto perché dedica un fondamentale capitolo ai «piaceri terreni», dove c’è la più geniale ricetta per il cocktail Martini, a base di gin, di vermut e di Spirito Santo. Leggere per credere.
Articolo di Anna Capuano